Nuovi documenti: la fotografia scende in strada
Ilaria Speri
“Questi tre fotografi preferirebbero che le loro fotografie non fossero osservate come arte, ma come vita. Questo non è possibile, poiché un’immagine, in fondo, è solo un’immagine. Eppure, queste fotografie potrebbero cambiare il senso di cosa sia per noi la vita”*
New York, 1967. Il Dipartimento di Fotografia del MoMA, dal 1962 sotto la guida di John Szarkowski, annuncia l’apertura al pubblico di New Documents, in programma dal 28 febbraio al 7 maggio. In mostra, novanta fotografie di tre artisti emergenti chiamati a rappresentare le nuove traiettorie della fotografia americana: Diane Arbus, Lee Friedlander e Garry Winogrand. Questi artisti, fino ad allora pressoché sconosciuti, si distinguono per l’utilizzo inedito della tecnica e dell’estetica della fotografia documentaria, che plasmano in virtù di una ricerca soggettiva e personale – in opposizione allo scopo di riforma sociale tradizionalmente associato a questo linguaggio.
All’indomani della pubblicazione di The Americans (1958), la rivoluzionaria opera editoriale di Robert Frank, la concezione dell’atto di fotografare si è liberata dalla sua sacralità, anche in termini di accuratezza tecnica. Colmando un vuoto attorno alle realtà umane ai confini del paesaggio sociale convenzionale, finalmente riconosciute come meritevoli di essere osservate e raccontate. Un processo di democratizzazione dei soggetti e delle forme, che rifiuta l’immagine patinata del Paese promossa attraverso i mezzi di comunicazione ufficiali. Arbus, Friedlander e Winogrand condividono l’obiettivo di conoscere la realtà, più che cambiarla. Non cercano di persuadere, ma di comprendere. Ciascuno, a modo suo, si apre all’indefinitezza, ai mutamenti imprevedibili degli eventi, alle possibilità interpretative di uno scenario sociale sempre più complesso e stratificato – eredità dei movimenti culturali di questi anni, dalla pop art al concettuale, dall’action painting alla Beat Generation. Propongono un ritratto inedito del paesaggio urbano americano e dei suoi abitanti, attraverso fotografie che guardano con affetto alle imperfezioni e le fragilità del mondo contemporaneo.
Prendendo le distanze dal mondo patinato della moda, Diane Arbus dedica la sua vita a ritrarre persone ai margini della normalità nei loro contesti di vita quotidiana, con sguardo empatico e privo di giudizio, per dare voce alla loro condizione di solitudine e alienazione. Lee Friedlander esplora la complessità informativa dello spazio abitato, mettendo in relazione la staticità del paesaggio e la mutabilità della società di cui è parte: tra insegne, superfici specchianti e pubblicità, ogni fotografia è un autoritratto in cui l’autore osserva se stesso nel sistema che descrive, in un processo di immedesimazione e appropriazione del contesto. Garry Winogrand esplora spazi pubblici e di relazione per osservare come le persone si comportano all’interno delle convenzioni sociali, e catturare i momenti in cui le evadono. La sua opera evidenzia con chiarezza lo scarto tra la capacità di visione dell’apparecchio fotografico e l’intenzione del fotografo, attraverso l’incontro fortuito di oggetti e la costruzione di cortocircuiti semantici: l’assenza di controllo sull’opera finale, lo stupore di fronte allo svolgersi degli eventi, la bizzarra convivenza di oggetti e persone sono al centro della sua poetica.
La natura onnivora, compulsiva e cumulativa della produzione di Winogrand sancisce la nascita di un nuovo genere fotografico: la street photography. Espressione del rapporto soggettivo e viscerale che il fotografo instaura con la realtà, e di una partecipazione appassionata e diretta agli eventi narrati. Protagonista: la strada, luogo di tutti e di nessuno, fonte di ispirazione inesauribile per gli artisti di questa generazione quanto dei loro predecessori. Quella stessa strada, su cui si fonda la storia della fotografia americana, che nel giro di pochi anni accompagnerà i suoi protagonisti in una nuova avventura: alla scoperta del colore.
* John Szarkowski, pannello introduttivo alla mostra New Documents, 1967.